martedì 27 dicembre 2011

la ricerca della perfezione - parte uno


Acquistai la mia copia di Siamese Dream quando avevo 16 anni era maggio, lo ricordo bene perché terminai quel che mi restava dei soldi di quel mese.

Non fu un male.

Nella mia stanza a fissavo quei due dischi sul letto sapendo che significavano dover star fuori dalle scene adolescenziali per un po’. Felice e squattrinato mi immersi nell’ascolto e per primo scelsi proprio siamese dream, chiuso in casa con la mia tshirt di Beavis and Butthead e lettore CD a palla.

Cherub rock fu qualcosa di innovativo, sentire i pumpkins in chiave così psichedelica fu una svolta, quella canzone ha un qualcosa di allucinogeno che non ho saputo ben spiegare, in un certo qual modo crea dipendenza. Il disco aveva una base solida, una magnifica coerenza (anni dopo scoprii che l’album era stato quasi totalmente scritto e registrato solo da Corgan, Iha e D’Arcy non si recarono spesso in studio a causa della rottura della loro relazione, di cui sospettavo, io tifavo per la bionda, “sol levante” era straordinariamente cattivo nelle foto ma nella band non l’ho mai amato). Passeggiavo per la città concentrato sull’ascolto, e quando arrivavo a Rocket e Today era come se tutto diventasse sfocato, si perdessero i contorni di ogni cosa come una foto dai colori accesi e fluorescenti, non fu una comune primavera, fu un alba rock che mi invase, il mio viaggio a ritroso sulle tracce dei pumpkins assomigliava ad una ricerca della perfezione, della canzone che avrebbe fermato il tempo…

Today, non finiva mai.

A scuola tra i banchi riguardavo la copertina, leggevo i testi, ripensavo al disco, alle 9 del mattino ero ancora troppo lontano dalla fine della giornata per poter tornare a casa e godermelo in tutta calma.

Ero contanto, in giro per corridoi chiedevo: “hai sentito gish?”,

“chiii?” mi rispondevano,

come spiegarvi la soddisfazione che provi quando sei fan di uno dei migliori gruppi in circolazione e intorno a te c’è il nulla, sultano nel bel mezzo di un deserto,

non ve lo spiego, diventate fan di una grande band e quando la gente sgrana gli occhi dopo averne pronunciato il nome chiudete gli occhi e godetevi quel leggero solletico alla base della nuca che scivola come olio fino ai piedi,

spallucce e via, cuffie nelle orecchie e Geek USA.

Le giornate passavano e io continuavo a sedere su svariati muretti ascoltando la cavalcata di Disarm e mi chiedevo “come può essere che i Nirvana sono più famosi di questi??”, tutto questo sfociò in seguito in accese discussioni, erano i giorni di “i Nirvana spaccano”, “i pumpkins hanno degli arrangiamenti da paura”, “ma hai sentito smells like a teen spirit?” “ma hai sentito silverfuck?”… pian piano le suole si consumavano e la città diventava sempre più consueta.

Sweet sweet fu un’altra svolta penso di averla ascoltata ininterrottamente per almeno un’ora, e poi Luna, Spaceboy, Hummer con quella sua pausa eccentrica e sussurrata, divoravo il booklet alla ricerca di nomi, strumenti utilizzati, ringraziamenti, cosa aveva reso Siamese dream quello che era? un capolavoro, una bibbia, un verbo del rock. Era come la frase giusta, non c’è bisogno di aggiungere altro, camminavo, mi fermavo, mi sedevo, ascolto… Silverfuck.

Silverfuck, punto

ero divertito dal fragore di questa canzone, era il mio inno generazionale, sfoggiavo un ghigno di soddisfazione, ascoltarla era come un distintivo sul mio petto su cui potevi leggere “ascolto il gruppo più figo del mondo”. Mayonnaise, in tutte le se salse, è bellissima e va bene su tutto.

Soma è uno di quei pezzi che valgono tutto l’impegno economico e fisico profuso, ci sprofondi dentro come Alice, senza mai stancarti di cadere in quel vortice crudo e ancestrale.

Tempo dopo siamese dream non è mai scomparso, nel corso degli anni ha lasciato qualcosa dentro di me, molto in profondità; la spiritualità di ogni traccia, respira ancora indelebile, come le pagine di un diario che non ti stanchi mai di leggere. Ogni canzone è incastonata nel tempo ti aiuta a guardare indietro per sorridere mentre guardi avanti, questo disco è così, una bella foto piena di vita e di ricordi, belli o brutti, pur sempre ricordi.

Era tutto quasi perfetto, quasi.

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